di Markus Krienke*
Quest’anno ricorre il 150° della nascita del grande economista e statista Luigi Einaudi (1874-1961), primo Presidente della Repubblica italiana eletto (1948-1955). Einaudi in molti scritti e con la sua carriera da banchiere e politico combatteva per la realizzazione di un libero mercato in un’Europa unita, insieme a una sua struttura politica federale. Ancora oggi, la sua lezione sembra più attuale che mai, e ciò per almeno tre aspetti.
Il primo è il suo sano realismo o pragmatismo politico che emerse sin dal suo primo importante saggio del 1897: «La nascita della federazione europea non sarà meno gloriosa solo perché nata dal timore e dalla sfiducia reciproca e non invece dall’amore fraterno e dagli ideali umanitari». La libertà e la pace sono troppo importanti per essere lasciate alle omelie domenicali. D’altra parte criticò anche il progetto wilsoniano della «Società delle Nazioni» perché gli mancava l’elemento decisivo: gli Stati devono ridurre le proprie sovranità se vogliono realizzare la pace. Ecco in che cosa consiste la forza del progetto federale con il quale Einaudi divenne uno degli ispiratori dell’Europa unita. Ciò che ci insegna il suo liberalismo, è dunque l’interdipendenza dei popoli in opposizione all’autosufficienza dello Stato. E se l’Europa è riuscita solo dopo la Seconda Guerra mondiale a realizzare un tale progetto politico, la prospettiva einaudiana ricorda i motivi per cui approfondire ulteriormente l’unità politica, anche in vista delle responsabilità dell’Europa nell’attuale situazione geopolitica.
Un secondo aspetto centrale del primo governatore della Banca d’Italia nel secondo dopoguerra (1945-1948) fu la stabilità della moneta che egli ha sempre considerato quale strumento efficace per costringere i governi a una «finanza buona», e dunque a limitarli nell’esercizio del loro potere: quando quest’ultimo distorce le virtuosità dell’economia, infatti, le strutture del potere corrotto distruggono le libertà a scapito del consumatore. Tuttavia, Einaudi non era affatto contro gli interventi statali, se questi non arrivano a prescrivere alle persone come debbano vivere. In altre parole, lo Stato non deve mai – e nemmeno «a fin di bene» – impedire la realizzazione della libertà che a livello economico si esprime nella libera concorrenza. Di conseguenza, ogni forma di monopolio o corporativismo fu severamente contrastato da Einaudi. Chi ora pensa che per questo Einaudi avrebbe legittimato le sempre più eclatanti disuguaglianze delle nostre odierne società, si sbaglia, ed ecco il terzo motivo per la sua attualità: una leale ed equa concorrenza non perde di vista il fatto che «giustizia» significa sempre anche «uguaglianza». Non certamente un’uguaglianza nel risultato – ciò distruggerebbe il valore del merito – ma certamente nelle condizioni di partenza. E chi potrebbe negare che sono proprio queste condizioni di partenza che oggi non sono più scontate. Di questi e altri temi einaudiani parliamo con il prof. Angelo Santagostino il prossimo lunedì 11 novembre alle 16.30 in FTL.
*docente di etica alla Facoltà di teologia di Lugano
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