di don Arturo Cattaneo*
Il 26 giugno si compie il 50° anniversario della morte del fondatore dell’Opus Dei, il cui messaggio è centrato sulla santificazione del lavoro, un tema che appare sempre più attuale. Mai, infatti, il lavoro ha occupato una simile rilevanza nella vita di uomini e donne.
Lavorare per amore di Dio o per amor proprio?
Ecco la questione cruciale e per niente facile da risolvere. Sembrerebbe ovvio che il lavoro abbia tra i suoi obiettivi quello di contribuire alla crescita personale umana (assunzione di responsabilità, sviluppo di abilità, crescita nella stima di sé e dei colleghi, … possibilità di migliorare le condizioni di vita proprie e della famiglia…) ed invece spesso accade il contrario: l’affanno di avere successo tende ad alimentare l’orgoglio, induce a vedere i colleghi come concorrenti, a trascurare gli impegni familiari e, soprattutto, quelli nei confronti di Dio, pur di conquistare onori, potere, ricchezza e soddisfare la propria ambizione personale. San Josemaría ne ha riscoperto le potenzialità di santificazione a livello personale, sociale ed ecclesiale, applicando in fondo l’esortazione di san Paolo: “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per gloria di Dio” (1Cor 10,31).
Come trasformare il lavoro da ostacolo a mezzo di santificazione?
Il fondatore dell’Opus Dei non ha solo proclamato il valore evangelico del lavoro, ma ha anche indicato il cammino per riuscirci. In una delle sue omelie scriveva: “Il grande privilegio dell’uomo è di poter amare, trascendendo così l’effimero e il transitorio”. Per questo, aggiungeva, l’uomo non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore” (Omelia Nella bottega di Giuseppe, raccolta nel volume È Gesù che passa, n. 48). Il lavoro nasce dall’amore nei confronti di Dio, perché l’amore filiale ci spinge a cercare di compiere la sua Volontà, e la Volontà divina è che, attraverso il nostro lavoro, partecipiamo al suo “potere creativo” e ci occupiamo responsabilmente della terra. Il lavoro manifesta l’amore, perché ci spinge a svolgerlo bene, a curare i dettagli e a portarlo bene a termine. Ogni lavoro è, infatti, occasione per esercitarci in tante virtù: la laboriosità, la fortezza, la pazienza, la giustizia, la veracità, l’affabilità, la prudenza, il buon uso del tempo, la magnanimità... Ma soprattutto è occasione di svolgerlo con spirito di servizio e contagiando chi ci sta vicino con questo amore. Se ciò non avvenisse, sarebbe un segno che siamo spenti e diventati insipidi. Il lavoro è ordinato all’amore nel senso che lo incrementa. Nel lavoro troviamo molte occasioni per compiere atti d’amore, che secondo le circostanze saranno atti di carità, di servizio, di fraternità, di umiltà, di sacrificio, di riparazione, di ringraziamento, di lode, di amicizia e di testimonianza cristiana.
In tale prospettiva, il lavoro, lungi da essere un ostacolo per la vita spirituale – come nei secoli passati a volte veniva considerato – appare come un dono di Dio, come occasione di incontro con Cristo, che trascorse la maggior parte della vita lavorando, e di partecipazione all’opera creatrice e redentrice di Dio, rende possibile lo sviluppo della propria personalità, crea legami e rapporti di amicizia fra gli uomini, contribuisce al bene dell’umanità.
2 Decisivo è l’atteggiamento con cui lavoriamo
L’importanza dell’intenzione che ci spinge a lavorare è indicata da Gesù quando afferma che, alla fine dei tempi, “due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata” (Mt 24, 40-41). C’è una piccola storia che aiuta a focalizzare l’importanza della rettitudine di intenzione.
Due boscaioli lavoravano nella stessa foresta ad abbattere alberi. Entrambi usavano le loro asce con identica bravura, ma con diversa tecnica: il primo colpiva il suo albero con incredibile costanza e rapidità, un colpo dietro l’altro, senza fermarsi se non per pochi secondi per riprendere fiato. Il secondo invece faceva una bella sosta ogni ora di lavoro. Al tramonto, il primo boscaiolo aveva abbattuto solo la metà degli alberi previsti ed era sfinito. Il secondo invece si trovò non troppo stanco e, incredibilmente, li aveva abbattuti tutti! Eppure, avevano cominciato insieme e il numero e grossezza degli alberi era equivalente! Il primo boscaiolo non credeva ai suoi occhi: “Ma come hai fatto ad andare così veloce se ti fermavi tutte le ore?”. L’altro rispose: “Hai visto bene che mi fermavo ogni ora; ma quello che non hai visto è che approfittavo della sosta per affilare la scure”. Il fermarsi ad affilare la scure, non solo non è perdita di tempo, ma assicura efficacia, rapidità e perfezione al lavoro del boscaiolo. Dal punto di vista cristiano: affilare la scure significa purificare l’intenzione con cui lavoriamo. Solo così le nostre azioni e il nostro lavoro svilupperanno tutte le loro potenzialità ed efficacia soprannaturale.
Il lavoro: cardine intorno al quale gira la nostra santificazione
Il messaggio di san Josemaría invita ciascuno di noi a cercare l’unione con Dio in ciò che ci occupa in ogni momento della nostra vita. Di conseguenza, la santificazione del lavoro è come il cardine intorno al quale gira la ricerca della santità e dell’identificazione con Cristo. Il lavoro, assunto da Cristo, diventa “realtà redenta e redentrice e si trasforma in mezzo e cammino di santità, in concreta occupazione santificabile e santificatrice” (san Josemaría, Forgia, n. 702). È un movimento circolare – dalla contemplazione al lavoro e dal lavoro alla contemplazione – che si va restringendo sempre più intorno al suo centro, Cristo, che attrae a sé noi e tutte le cose, affinché per Lui, con Lui e in Lui sia dato ogni onore e gloria a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo.
*Opus Dei