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    Il Ticino ricorda mons. Eugenio Corecco, vescovo, canonista e "uomo di Dio"

    di Federico Anzini

    Esattamente 30 anni fa – il 1. marzo 1995 – ci ha lasciati mons. Eugenio Corecco, Vescovo di Lugano e insigne canonista. La Chiesa continua a ritrovare in lui un punto di riferimento e molte persone sono state segnate dall’incontro con questo “uomo di Dio”. Lo testimonia il racconto, commovente e personale, di Paola Mescoli Davoli – avvocato e per decenni presidente dell’Azione Cattolica di Reggio Emilia – in una recente intervista concessa all’Associazione Amici di Eugenio Corecco, promotrice di un evento commemorativo il 14 e 15 marzo prossimi (vedi box a lato). Il legame con il Ticino dell’avvocatessa emiliana è molto profondo e risale agli anni ‘90 e al rilancio dell’Azione Cattolica ticinese. Ma la sua conoscenza di Corecco, se pur indiretta, risale a molto tempo prima.

    Leggi anche: 30° Anniversario della Salita al Cielo di mons. Corecco: Evento commemorativo il 14 e 15 marzo a Lugano

    Un modo diverso di svolgere la professione

    Da sempre impegnata in una realtà professionale che spazia dai tribunali civili a quelli ecclesiastici, Paola Mescoli Davoli racconta come la sua visione del diritto sia stata radicalmente ribaltata grazie al pensiero innovativo di Corecco nell’ambito del diretto canonico. Ad esempio le cause di nullità matrimoniali sono diventate un cammino di speranza e redenzione, dove “il lavoro non era fatto con l’euforia della vittoria o il pianto della sconfitta, ma con la consapevolezza della salvezza dell’altro”.

    L’invito in Ticino: una sfida e una chiamata

    L’8 ottobre del 1989, il Vescovo Corecco contattò Paola invitandola in Ticino per un convegno destinato al rilancio dell’Azione Cattolica diocesana. Durante quella giornata, Corecco dimostrò quella rara empatia che sapeva penetrare il cuore e la mente di chi lo ascoltava. La testimonianza di Paola si fa particolarmente intensa quando ricorda un episodio che le fu trasmesso da Corecco con parole intrise di poesia: “Sono stato ad una cerimonia e al termine ho sentito un canto. Era il canto di un gruppo di donne di Azione Cattolica -  e mi disse - , vedi Paola, mi è venuto lo scrupolo che il lucignolo fumigante fosse ancora acceso”. Queste parole, rimaste impresse nella memoria, divennero il simbolo di una rinascita, un invito a non spegnere quella fiamma di fede e di impegno che ardeva nei cuori di quelle persone.

    La ripartenza dell’Azione Cattolica diocesana

    Corecco non fu solo un riformatore del diritto canonico, ma anche un educatore capace di valorizzare la dimensione comunitaria della vita cristiana. “Ha colto quella capacità formativa che esisteva nell’Azione Cattolica e che andava recuperata a tutti i costi”, spiega Paola. Attraverso il coinvolgimento diretto dei giovani e l’impegno costante nel promuovere una fede autentica, l’AC si trasformò in un laboratorio di vita e di crescita, dove la sequela di Cristo non era una mera dottrina, ma una chiamata a vivere in modo coerente e consapevole la vita di tutti i giorni.

    L’amicizia e il sentire ecclesiale

    Ciò che è rimasto nel cuore di Paola è soprattutto il senso profondo dell’amicizia e della comunione vissuta con Corecco. “Mi è rimasto nel cuore il senso profondo di unità nella Chiesa”, racconta, ricordando quei momenti di confronto e di prossimità spirituale che avevano il potere di unire persone diverse attorno a un ideale comune. “Con Corecco si viveva la comunione perché si pensava allo stesso modo, si agiva nello stesso modo e ho toccato con mano un cristianesimo che non era una dottrina, era una vita”.

    Il dolore della perdita e la lezione della malattia

    La malattia e la morte di Corecco hanno segnato la vita di tutti, di chi lo conosceva bene ma anche di molti “lontani”. Paola confessa lo shock iniziale, esprimendo un sentimento di incredulità: “Facevo fatica a capire come di una persona così utile, così importante per la Chiesa, si potesse fare a meno”. Tuttavia, il calvario di Corecco si è trasformato in una forma di catechesi, in cui il confronto con la fragilità umana ha generato una riflessione profonda sul senso della vita e della morte. “Rileggere i suoi scritti sulla malattia e la sofferenza sono stati degli esercizi spirituali. La morte e la malattia di Corecco sono un esempio per tutti quelli che sono malati, quelli che soffrono ma anche per i sani, perché Corecco ha insegnato a vedere nella sofferenza un cammino verso la ricerca di Dio e il senso dell’esistenza”.

    Un invito ai giovani di oggi

    Chiudendo l’intervista con un messaggio diretto ai giovani, Paola Mescoli Davoli lancia un monito contro una fede “edulcorata”. “Attenzione a non vivere una Chiesa edulcorata, la Chiesa non è una favoletta”, ma una realtà che invita le nuove generazioni ad impegnarsi con serietà e coerenza nella propria crescita umana e spirituale. Il ricordo dei momenti di spensieratezza, come gli incontri giovanili in cui si “giocava, scherzava, ballava, rideva”, accompagna la necessità di mantenere alta l’attenzione sulla formazione autentica e sul valore della testimonianza cristiana. Altrimenti anche il divertimento perde sapore.

    Il lascito di un grande uomo

    L’eredità di mons. Eugenio Corecco non si esaurisce nei ricordi di un passato che fu, ma continua a vivere nei cuori di chi ancora oggi si impegna per una Chiesa, che non si accontenta di formule vuote. La testimonianza di Paola Mescoli Davoli è un invito a riscoprire quella dimensione educativa e formativa che Corecco aveva saputo incarnare nel rilancio dell’Azione Cattolica ed in molte altre iniziative. In un’epoca in cui la tentazione dell’edulcorazione rischia di ridurre la fede a norma morale, il messaggio di Corecco ci rammenta che la vera essenza del cristianesimo è comunione, è vita di impegno, coraggio e verità. Una riflessione che, anche a distanza di tre decenni, risuona con forza e può illuminare il cammino dei credenti di oggi.

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