di Cristina Uguccioni
L’universo, la fede e la scienza, lo stupore e l’esserci delle cose: questi i perni della riflessione che, in questa conversazione con Catholica e catt.ch, propone il professor Marco Bersanelli, docente di fisica e astrofisica all’università statale di Milano. È fra i principali responsabili scientifici della missione spaziale Planck dell’Agenzia Spaziale Europea. È presidente della Fondazione Sacro Cuore per l’Educazione dei Giovani. Tra le sue opere di carattere divulgativo segnaliamo “Il grande spettacolo del cielo” (Sperling & Kupfer).

Prof. Bersanelli, oggi – ed è cosa straordinaria – abbiamo un’immagine dell’universo neonato: come è stato possibile ottenerla?
«È stato possibile grazie alla felice combinazione di due fattori. Il primo è la struttura stessa della natura: noi sappiamo che la luce viaggia alla velocità di 300.000 km al secondo. Significa che, tanto più scrutiamo lontano nell’universo, tanto più vediamo la luce che è partita da una data sorgente in un tempo remoto e quindi vediamo com’era l’universo nel passato. Il secondo fattore è la tecnologia, come quella che ci ha permesso di realizzare il telescopio Planck. Lanciato nel 2009, ci ha fornito l’immagine più completa mai realizzata con la luce proveniente dalla frontiera ultima dell’universo osservabile, chiamata “fondo cosmico di micro-onde”: questa luce ha viaggiato per 13,8 miliardi di anni e dunque ci porta informazioni risalenti a 13,8 miliardi di anni fa, quando l’universo era neonato e la sua espansione era appena iniziata».
E com’era allora l’universo?
«Aveva una semplicità disarmante, era sostanzialmente uguale a sé stesso in ogni sua regione. In questa immagine però si osservano anche piccolissime “increspature”: sono i “semi” di tutte le strutture (galassie, stelle, pianeti, e così via) che si sarebbero via via sviluppate nel corso di miliardi di anni e che caratterizzano l’attuale universo».
L’essere umano continua a domandarsi se sia solo nell’universo o se esistano altre forme di vita…
«È un interrogativo bellissimo, per il quale, attualmente, non abbiamo risposta. Sappiamo che non esistono, nel nostro sistema solare, forme di vita evoluta e si sono molto assottigliate anche le possibilità di trovare forme elementari di vita: ci stiamo sempre più rendendo conto dell’eccezionalità del pianeta terra. Sappiamo d’altra parte che la maggior parte delle stelle ha sistemi planetari, con uno o più pianeti: ciò significa che solo nella nostra galassia vi sono centinaia di miliardi di pianeti. Molti di questi sono radicalmente diversi, non solo dalla terra, ma anche dagli altri pianeti del sistema solare. Oggi cominciamo a trovare qualche pianeta con condizioni astronomiche grossolanamente simili a quelle della terra, ma siamo lontanissimi dal poter dire che lì esistono condizioni favorevoli all’ospitalità della vita: i fattori in gioco sono moltissimi e non tutti conosciuti. Siamo ancora ignoranti a proposito di ciò che successe qui sulla terra 3,8 miliardi di anni fa, quando si formarono i primi microorganismi. L’origine della vita rimane, infatti, una grande incognita. Di sicuro possiamo essere stupiti, ammirati e anche grati nell’osservare l’incredibile fenomeno della vita che qui, sulla terra, esiste senza ombra di dubbio. Io continuo a esserlo».
Più volte lei ha parlato dello stupore che muove e guida la ricerca scientifica e più in generale la conoscenza umana: come trasmetterlo alle giovani generazioni oggi esposte alla tentazione dell’indifferenza, dell’apatia, della disillusione?
«Lo stupore, la meraviglia che l’esistenza suscita è il motore di qualunque cammino di conoscenza, di ogni rapporto serio con la realtà. Sono persuaso che per trasmettere lo stupore sia indispensabile anzitutto viverlo. Si tratta, in definitiva, di riconoscere l’irrevocabile positività della realtà, che resiste a ogni cattiveria o avversità: la realtà c’è! E la realtà implica un mistero sottostante, un significato a cui l’uomo tende. Questa positività è fonte di una speranza non-irrazionale, ragionevole, che può comunicarsi soprattutto implicitamente, nel vivere le relazioni. Per questo la cura dei rapporti tra adulti e giovani, e dei giovani tra loro, è decisiva: occorre edificare e stimolare relazioni che siano fiduciosamente aperte alla realtà e al suo significato. La scienza, nel suo ambito limitato, può aiutare le giovani generazioni a riscoprire il gusto della realtà fisica. Penso che molte difficoltà mostrate oggi dai ragazzi siano legati a una assuefazione al mondo virtuale che allontana dal contatto con la fisicità del reale. A differenza di quello che noi virtualmente possiamo costruire, il mondo fisico è evidentemente qualcosa che non abbiamo fatto noi, è qualcosa che ci è dato: fare esperienza del fatto che le cose – le stelle, i boschi, gli oceani, le montagne, gli altri esseri umani – esistano, ed esistano in un certo modo che nessuno di noi ha deciso, è un’esperienza di grande potenza educativa, perché ci mette in rapporto con “altro-da-noi”, e questo è irrinunciabile per una crescita sana dell’intelligenza, dell’affezione, dello sguardo sul mondo».
La fede ha cambiato il suo sguardo sull’universo?
«Sì, come lo ha cambiato un po’ su tutta la mia vita. La fede piano piano fa emergere la sostanza di verità e bellezza che è presente in tutte le cose. Il mistero che l’universo comunica è un’esperienza che tutti possiamo vivere: la fede è la grazia di riconoscere che quel mistero è una Presenza personale che genera tutte le cose, per incondizionato amore, in ogni istante. La fede quindi è anche fiducia che l’universo, di cui siamo parte, sia fatto per un bene ultimo. Questa fiducia fa sì che lo si possa guardare con più ammirazione e più gratitudine. In questo senso la fede tende a trasformare la ricerca in una forma di contemplazione, anziché in una conquista muscolare di risultati di cui vantarsi con superbia».
Dunque si può dire che la creazione continua?
«Certo. Alcuni sono portati a ridurre la creazione a un istante del passato, identificandola con il Big Bang iniziale. Se un Dio esiste, quindi, dopo quell’istantaneo atto creativo si sarebbe fatto da parte, lasciando che la realtà si mantenesse da sé. Ma questa idea di creazione, a mio avviso, rischia di suonare un po’ come una magia. Se la realtà può sostenersi da sé, allora non ha bisogno di Dio neanche nel primo istante. Mentre, come mi ha insegnato don Giussani, la meraviglia comincia proprio dal fatto che le cose, in questo preciso istante, non si danno da sé. Esiste uno iato infinito tra l’esserci delle cose e il nulla. In quanto esseri coscienti, noi umani, con la nostra ragione, possiamo renderci conto che ora, proprio adesso, non ci diamo l’essere, non proveniamo da noi stessi, cosi come i boschi, le montagne, le stelle non si danno da se stessi. Il nostro e il loro esistere “poggia” su un Mistero infinito che fa essere tutte le cose. E fa essere anche il tempo, dimensione strutturale dell’universo fisico. Quindi anche l’istante in cui tu – lettore – stai leggendo queste righe è creato, ti è dato. Ciascuno di noi è continuamente dato a se stesso, così come ogni stella o atomo dell’universo».