Peggiora la situazione in Siria dove si respira un clima di grande tensione, “soprattutto al sud, nella città di Suwaida, a Jaramana, periferia di Damasco, zone a maggioranza drusa e nelle città costiere a maggioranza alawita, in particolare a Jable”. Lo riferisce, in una nota pervenuta al Sir, padre Bahjat Elia Karakach, frate della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Aleppo.
La Siria, dunque, sembra ripiombare nel caos con l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, che ha dichiarato di essere “profondamente allarmato” per gli scontri in atto nelle zone costiere del Paese, anche tra le forze dell’Autorità siriana ad interim ed elementi fedeli al precedente regime, e per le notizie “molto inquietanti di vittime civili”.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani sarebbero 229 le persone uccise nelle violenze in corso da giovedì 6 marzo in particolare nella provincia di Latakia, roccaforte del deposto regime di Bashar al-Assad. Sarebbero “134 i civili alawiti, tra cui 13 donne e cinque bambini, giustiziati dalle forze di sicurezza”.
Resistenza armata. Secondo il frate il 6 marzo sarebbe “scoppiata una resistenza armata contro le forze ufficiali, rifiutate da una larga fetta della popolazione, per presunte violenze e vendette nei confronti dei civili delle minoranze. Per contro – aggiunge padre Karakach – si parla di una vera e propria azione militare organizzata dai sostenitori del vecchio regime, sostenuta da forze regionali che avrebbero l’interesse di creare e mantenere uno stato di caos in Siria: da una parte Israele, che avanza nei territori siriani e se ne impadronisce, cercando di presentarsi come difensore dei drusi contro le forze governative, considerate “milizie terroristiche”; dall’altra parte l’Iran, che pare non voglia accettare la perdita del potere che aveva in Siria al tempo di Assad; senza dimenticare il ruolo della Russia, che resta ambiguo.”
Sull’orlo di una guerra civile. “Un’altra volta i siriani si trovano sull’orlo di una guerra civile. Siamo davvero preoccupati – sottolinea il parroco di Aleppo -. Alcune voci accusano la comunità internazionale di non assumersi pienamente le proprie responsabilità nei confronti del Medio Oriente in generale e della Siria in particolare, che resta una terra in cui si scontrano le grandi potenze, ognuna delle quali cerca di garantirsi una fetta di questa torta; altre voci accusano il nuovo governo di Al-Sharaa che, al di là delle belle promesse, non ha compiuto finora azioni serie per garantire processi pubblici ed equi nei confronti dei criminali di guerra, un fatto che ha lasciato mano libera a chi vuole farsi giustizia da sé e ha permesso a coloro che si vogliono organizzare per ‘liberare di nuovo’ la Siria di agire indisturbati”. Un’altra colpa del nuovo presidente, aggiunge padre Karakach, “sarebbe quella di mantenere lo status quo del suo governo, formato subito dopo la caduta del vecchio regime, e che resta in carica oltre il tempo fissato di tre mesi, un governo che raccoglie persone poco esperte in politica, tutte appartenenti all’ex Hay’at Tahrir al-Sham (Hts), portatrici di un pensiero politico di stampo fortemente religioso. Nonostante le innumerevoli voci, sia all’estero sia all’interno, che hanno affermato come per mantenere una stabilità in Siria sia indispensabile un governo che rappresenti tutti i componenti della società siriana, non si vedono finora azioni concrete in questa direzione”.
Nuovo Governo, obiettivo mancato. Comprensibile, allora, la delusione di chi si aspettava un rinnovamento. “Si è voluto accontentare gli osservatori con una mezza giornata di ‘dialogo nazionale’ – annota il francescano – in cui si sarebbero dovute decidere le sorti del Paese, un convegno che ha redatto un documento finale che resta per ora inchiostro sulla carta. Tutti aspettavano il 1° marzo, data in cui si sarebbe dovuto formare un nuovo governo di transizione, obiettivo mancato che ha lasciato molti nella delusione, mentre i siriani aspettano una parola chiara dalle loro autorità, una parola che spieghi cosa hanno in mente. Purtroppo – conclude padre Karakach – i governanti continuano a trattare il popolo come un ‘gregge’ e non come un vero partner. Questo silenzio, sopportato a malapena, è rotto solo dalle armi che minacciano di distruggere quel che resta della nostra speranza. Qui la gente è stanca e noi non sapremmo più cosa dire o come infondere coraggio per affrontare quel che verrà”. Da qui l’appello a pregare per la Siria.
Agensir
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