Calendario romano
Anno C / Lc 5,1-11 / V Domenica del Tempo ordinario
Un annuncio che attende di cambiare le nostre vite
di Dante Balbo*
«Qualcosa ci sarà senz'altro dopo la morte, l'importante è comportarsi correttamente, non fare male a nessuno e volersi bene». Spesso questa è l'affermazione di fede che riceviamo dagli adulti con cui scambiamo opinioni sulla questione religiosa. Ben diverso è il tono della lettera di S. Paolo ai Corinti, commentata da don Willy Volonté. L’apostolo chiarisce bene che quello che ha trasmesso alla comunità non è un suo ragionamento, il frutto della sua riflessione filosofica o esistenziale, ma quanto ha ricevuto dagli apostoli: Gesù morì per i nostri peccati, fu sepolto, risuscitò e apparve a Simon Pietro e poi ai dodici. In altre parole, ciò che noi crediamo non è una deduzione, ma un'esperienza precisa: fatti accaduti in un tempo e in un luogo, testimoniati da chi li ha vissuti in prima persona e trasmessi di generazione in generazione. Questo comporta conseguenze straordinarie: la nostra intelligenza e il nostro cuore sono interrogati, per accogliere o rifiutare quanto ci viene annunciato. Possiamo osservare come questo annuncio ha cambiato la storia, messo in movimento i primi che lo hanno ricevuto, tanto da trasformare la loro vita e la società occidentale. Anche a noi è data questa opportunità. Non si tratta di rinnovare quanto accaduto in passato riproducendolo in modo passivo, perché in ogni epoca il messaggio cristiano, la dirompente testimonianza apostolica ha bisogno di traduzione, di collocarsi nello spazio e nel tempo. I primi cristiani accoglievano gli ultimi, si preoccupavano per i meno favoriti, ma oggi tutto questo ha bisogno di un linguaggio diverso, senza tradirne il senso profondo, per esempio con un Papa che parla di cultura dello scarto. Possiamo accettare quello che abbiamo ricevuto dagli apostoli, conclude don Willy, rifiutarlo, oppure nella peggiore delle ipotesi, restare indifferenti. Se lo accogliamo, può diventare fonte di buona trasformazione per noi e per il mondo intero.
*Dalla rubrica televisiva Il Respiro spirituale di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e online su YouTube
Calendario ambrosiano
Anno C / Mt 8, 5-13 / Domenica V dopo l’Epifania
La forza vitale della Parola di Dio
di don Giuseppe Grampa
Cuore di questa pagina evangelica sono le parole rivolte a Gesù dal centurione romano, uno straniero che non appartiene al popolo dei figli di Abramo: «Dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito». Parole che suscitano un singolare elogio da parte di Gesù che dice di non aver mai trovato in Israele una fede così grande. Quest’uomo ha fede non solo nella persona di Gesù al quale si è rivolto, ma in particolare nella sua parola. Probabilmente quest’uomo non conosceva le Scritture Sacre e quindi non aveva familiarità con la grande fede di Israele nella Parola di Dio. Nelle pagine del Primo Testamento insistente è la certezza sulla forza della Parola di Dio. A cominciare dalla prima pagina dove proprio la Parola di Dio chiama all’essere tutte le cose: «Dio disse: Sia la luce. E la luce fu» (Gen 1,3ss.). «Con le parole del Signore sono state create le sue opere» (Sir 42,15). La parola non è solo emissione sonora, è energia, forza, dinamismo. Geremia avverte questa parola come «un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa» (Ger 20,9s.), un fuoco al quale non può resistere. E Isaia: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (55,10ss.; Ebrei 4, 12 ss). Questo insegnamento non era conosciuto dal Centurione ma egli aveva esperienza quotidiana della forza della sua parola di Ufficiale che dava ordini ai suoi soldati. Anche la sua era parola efficace che otteneva quanto diceva. E anche noi abbiamo esperienza del valore della parola. Ogni volta che diciamo: «Ti do la mia parola», davvero la nostra parola è ben più che una parola, con essa mettiamo in gioco noi stessi, la nostra coerenza. Penso agli uomini e alle donne che si promettono fedeltà nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia finché la morte non li separi. Queste parole dicono l’impegno di una vita e fanno dei due una sola cosa.