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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (19 dicembre 2024)
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  • Cristiani in Terra Santa:

    Cristiani in Terra Santa: "Privati delle loro terre". L'allarme lanciato da padre Faltas

    Le attenzioni della comunità internazionale “sono concentrate su Gaza, ma nella stessa Cisgiordania vi sono tantissimi problemi: scontri, attacchi, insediamenti che aumentano” come sta avvenendo in questi giorni nella zona di Betlemme. “E ancora, palestinesi arrestati, oltre 10mila persone” dal 7 ottobre sono un “segnale di preoccupazione per la Chiesa e per tutti noi, compresi i moltissimi cristiani che stanno emigrando. Oltre 70 famiglie dall’inizio della guerra solo a Betlemme, altre a Gerusalemme” e per tutti vi è una considerazione comune: “Qui non c’è futuro per i nostri figli e la situazione è drammatica”. Dalle parole di p. Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, emerge un quadro dalle tinte fosche per il futuro dei cristiani lì dove la loro storia ha avuto inizio, nella terra di Gesù e dei primi discepoli. “I luoghi santi senza i cristiani, la Cisgiordania senza i cristiani, Betlemme e Gerusalemme senza i cristiani - racconta ad AsiaNews - sono fonte di profonda preoccupazione”.

    Al conflitto a Gaza, agli attacchi degli estremisti ebraici e al tentativo di esproprio delle proprietà cristiane si unisce anche l'accelerazione sulle colonie del governo israeliano, confermata dalle parole pronunciate in questi giorni da un alto rappresentante dell’esecutivo. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha infatti annunciato in via ufficiale la costruzione di un nuovo insediamento a Jabal al-Makhrur, nei pressi di Beit Jala, vicino a Betlemme. In seguito alla notizia, si è registrato l’immediato intervento di coloni ed esercito con assalti congiunti e conseguenti espulsioni dei residenti, oltre alla dichiarazione di “zona militare chiusa” per l’area. Cittadini e attivisti hanno risposto con un sit-in di protesta e rifiutano di andarsene - nonostante gli attacchi - per difendere quello che ad oggi resta uno degli ultimi villaggi cristiani palestinesi nell’area.

    Sito patrimonio Unesco

    L’area interessata dal nuovo insediamento illegale comprende un sito patrimonio mondiale Unesco ed è da tempo nel mirino delle autorità israeliane, in particolare la fazione della destra radicale e religiosa che fa capo a Smotrich e al ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. In una nota diffusa sul proprio profilo X (ex Twitter) il titolare delle Finanze ha sottolineato che “nessuna decisione anti-israeliana e anti-sionista fermerà lo sviluppo degli insediamenti”. A partire proprio dal piano per Nahal Heletz nel Gush Etzion, un territorio protetto. “Continueremo - conclude Smotrich - a combattere contro il pericoloso progetto di creare uno stato palestinese creando fatti sul terreno”. Tutti gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, occupati dal 1967 e abitati ormai da circa 700mila coloni israeliani - compresa Gerusalemme est - sono considerati illegali secondo il diritto internazionale, indipendentemente dal fatto che abbiano il permesso di pianificazione israeliano. Analisti ed esperti sottolineano che il nuovo progetto rappresenta un ulteriore esproprio di ciò che resta della terra palestinese nell’area di Betlemme, ridotta a poco più del 10% rispetto alle origini. E l’obiettivo resta l’espansione della “sovranità ebraica” su tutta la terra “dal fiume al mare”. 

    In particolare, il nuovo insediamento si estenderà per un totale di circa 60 ettari (148 acri) e ha ricevuto l’approvazione preliminare insieme ad altri quattro a giugno. Il movimento attivista israeliano anti-occupazione Peace Now aggiunge che esso fiancheggerà le case nel villaggio palestinese di Battir, un sito patrimonio mondiale noto per le sue terrazze agricole a gradini, i vigneti e gli uliveti. L’ong ha denunciato il progetto definendolo “un attacco” su un’area conosciuta “per le sue antiche terrazze e i sofisticati sistemi di irrigazione, prova di migliaia di anni di attività umana”. Le azioni di Israele rappresentano “una minaccia imminente” per un territorio dall’alto “valore culturale per l’umanità”. Preoccupazione viene infine espressa dall’Ufficio Onu per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati (Tpo), che nella nota diffusa ieri sottolinea come un nuovo insediamento nell’area “strategica” di Nahal Heletz finisca per “compromettere” la sussistenza e sicurezza dei locali. E costituisce una “minaccia significativa” per la contiguità e la vitalità di uno Stato palestinese. Dall’inizio della guerra a Gaza sono stati “legalizzati” in maniera retroattiva tre avamposti, mentre i coloni ne hanno stabiliti 25 nuovi approfittando del disinteresse internazionale e della politica coloniale del governo di ultra-destra.

    L’esodo dei cristiani

    “Quanto sta accadendo in Cisgiordania - racconta p. Faltas - è molto grave: dagli scontri con i coloni agli insediamenti che crescono, le moltissime persone arrestate e le tante distruzioni che si sono verificate dall’inizio della guerra” innescata dall’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre. In poco più di 10 mesi sono morte oltre 700 persone in Cisgiordania, che si sommano alle 40mila vittime e più di 100mila feriti nella Striscia. “Moltissimi cristiani - avverte - hanno perso le loro proprietà ed è un fatto gravissimo, perché ciò che lega la persona ad un luogo è la terra, la realtà in cui vive. Da 70 anni aspettiamo l’intervento della comunità internazionale, ma nessuno ha mai fatto nulla di concreto. Guardiamo alla mediazione in atto con americani, egiziani e Qatar… speriamo possa sfociare in un accordo perché in caso contrario sarà un disastro: tutti lo aspettano, cristiani e musulmani, ebrei, israeliani e palestinesi, dopo 11 mesi di morti, anche bambini, di malattie e macerie è ormai un disastro dappertutto”. 

    L’ultimo allarme da Gaza è legato all’epidemia di polio, con “almeno 600mila bambini - prosegue il vicario della Custodia di Terra Santa - che hanno bisogno del vaccino. Tutti stanno male, non entrano gli aiuti e le persone muoiono di fame, di sete, prima di freddo e ora di caldo. Se non si mette fine a tutto questo, se non si raggiunge una tregua - avverte - il conflitto è destinato ad allargarsi e sarà la terza guerra mondiale. Intanto le persone soffrono, anche i cristiani della Striscia fino alla Cisgiordania e nella stessa Israele: il 90% lavorava nel settore del turismo, che a causa delle violenze è in ginocchio e il quadro è di profonda disperazione”. “Noi - conclude p. Faltas - come Chiesa di Terra Santa stiamo facendo di tutto per aiutare i cristiani a rimanere, siamo qui da oltre 800 anni e li incoraggiamo, aiutandoli, a mantenere la presenza, ma abbiamo bisogno della pace e del sostegno di tutti, anche dei cristiani in Occidente e di papa Francesco che, ad oggi, è stato l’unico che ha sempre invocato con forza un cessate il fuoco, anche se nessuno lo ha ascoltato”.  

    Alice Kisiya: storia emblematica

    Fra le molte storie di diritti negati vi è quella della cristiana palestinese con cittadinanza israeliana Alice Kisiya e della sua famiglia, che il 31 luglio scorso ha scoperto di essere stata estromessa e impossibilitata ad accedere alle proprie terre da una cancellata eretta dai coloni. I quali, senza alcun titolo, hanno assunto il controllo della proprietà col benestare dell’esercito e delle autorità dello Stato ebraico. La donna ha contattato polizia e movimenti attivisti che hanno cercato di aiutarla, invano. Come racconta The Art Newspaper, a dispetto della documentazione prodotta alle forze dell’ordine e all’esercito, le è stato imposto di abbandonare l’area perché designata come “zona militare” e impedito l’accesso ai terreni. Un provvedimento che non vale per i coloni, liberi di impossessarsene e sfruttala. “ non era una zona militare prima” denuncia la donna cristiana, ma “all'improvviso lo è” diventata. Un gruppo di attivisti tra cui cristiani, musulmani ed ebrei, si è unito a Kisiya nella sua lotta e ha creato un accampamento dove si tengono eventi pacifici. “Non rispondiamo con la violenza, ma con l’amore” afferma.

    La famiglia rivendica la proprietà del terreno da almeno 40 anni e ha combattuto una lunga e dispendiosa battaglia legale per far valere i propri diritti. Il loro popolare ristorante è stato distrutto quattro volte a causa di problemi di autorizzazione. L’ultima, nel 2019, ha colpito anche la loro casa e un antico pozzo, oltre al locale. Kisaya aggiunge che sono stati anche vittime di un esproprio illegale di terra da parte di un gruppo israeliano che ne rivendicava la proprietà con documenti falsi. Nel 2023, dopo una lunga battaglia in tribunale costata circa 135mila dollari, hanno vinto la causa: “Sono più di 20 anni che lottiamo. Siamo stanchi finanziariamente, psicologicamente e fisicamente. Ma non ci arrendiamo” aggiunge, prima di concludere che “è tempo di pace”. Xavier Abu Eid, un palestinese cristiano la cui famiglia possiede un terreno vicino a quello di Kisiya, denuncia di aver perso una parte significativa della proprietà. Egli spiega che circa il 90% della terra in quest’area è di proprietà di cristiani palestinesi, che rischiano di essere cacciati. “Molti cristiani in Occidente fanno ben poco per aiutare i cristiani che stanno lottando per restare” accusa, puntando il dito anche contro l’Unesco. “Non pretendo che abbia la capacità di fermare gli insediamenti, ma il minimo che ci si possa aspettare è che li condanni”.

    Asianews

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