“Vorrei pregare e sperare che sia l'Europa, in primis, a non dimenticare quanto sia prezioso il bene della pace. La mostra inaugurata è una parabola che rivela un bene molto prezioso nella misura in cui convince il visitatore di una verità:
parole, gesti, incontri interreligiosi sono solo strumenti per aprire il cuore alla memoria, l'intelligenza al rispetto reciproco, l'interezza della persona umana alla responsabilità di creare nuovi spazi di fratellanza.
È necessario fare questo cammino affinché la pace diventi il bene comune a tutti i popoli. Deve essere messo in moto un cammino di crescita umana in tutti i credenti e non credenti. Allora buon “pellegrinaggio” attraverso la mostra!”
È con queste illuminanti parole di incoraggiamento che mons. Libero Gerosa, Fondatore dell’Istituto di DiReCom della Facoltà di Teologia di Lugano ha salutato il pubblico ticinese accorso ieri sera, 11 febbraio, alla Facoltà per l’inaugurazione della mostra fotografica dal titolo 1986-2016: Trenta anni di incontri di tre Papi con le comunità ebraiche, con le chiese cristiane non cattoliche e con le comunità islamiche.
Il percorso espositivo, curato dalla Associazione Internazionale Karol Wojtyla (che l'ha precedentemente proposto a New York, in occasione della visita alla Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite) desidera celebrare gli storici incontri avvenuti fra le comunità ebraiche, cristiane ortodosse e protestanti e musulmane fra il 1986 (Giovanni Paolo II visita la Sinagoga di Roma, prima volta nella storia) e il 2016 (incontro di Papa Francesco con Kiril - Patriarca di Russia - e con i luterani).
Presenti, durante l’inaugurazione, oltre che Antonio Angelucci per la Fondazione Veritas et Jus e la prof.ssa Rosanna Cerbo per l’Associazione Karol Wojtyla, anche gli esponenti di varie religioni, che hanno approfondito il tema della mostra. Il primo relatore della serata, il prof. Vittorio Robiati Bendaud, allievo del rabbino Giuseppe Laras, uno dei grandi intellettuali italiani dei nostri giorni e una delle voci rabbiniche più autorevoli di Europa, ha sottolineato con realismo le difficoltà che un vero dialogo pone anche oggi:
“Parlare di dialogo è una cosa delicata. I detrattori trovano terreno fertile ma anche tra di noi rischiamo di finire a spasso per amene oasi inesistenti. Veniamo da un secolo in cui ci sono state tante innovazioni scientifiche, la tecnica segna in maniera profonda la nostra esistenza. Il dialogo interreligioso pur con tutti i problemi strutturali che l'attraversano resta la grande conquista religiosa della seconda metà del Novecento, una conquista umanistica”.
[caption id="attachment_33494" align="alignleft" width="450"] il prof. Vittorio Robiati Bendaud[/caption]“Dopo il Concilio Vaticano II, infatti, e l'apertura all'ebraismo, da parte della Chiesa c'è stato un progressivo aprirsi anche alle altre Chiese cristiane e all'Islam. Il rapporto con loro è sempre stato sofferto, ciò che ci ha consegnato la storia è una storia di sofferenze reciproche. Sarebbe un'illusione credere che non sarà sofferto anche in futuro, ma forse oggi abbiamo uno strumento in più per dire: questo rapporto può essere redento. Oggi le problematicità intrinseche possono trovare un livello di accettazione più alto e degno rispetto a quello che è stato negli ultimi 20 secoli. Questa è la sfida. La persona che ha reso possibile una riflessione teologica profonda e dei gesti epocali certamente è Karol Wojtyla, grande pontefice con cui sono iniziate le visite nei Paesi musulmani, alle sinagoghe”.
“E qui vorrei rendere presente una cosa: dialogare con gli ebrei implica che una maggioranza, quella del cristianesimo, dà attenzione a una minoranza, quella ebraica. Non è semplice. Ma con il documento conciliare Nostra aetate di San Giovanni Paolo II questo approccio è incominciato. Ci sono poi delle difficoltà strutturali da superare: mentre il cristianesimo ha saputo esprimersi anche nell'arte, nella filosofia, ebraismo e Islam si concepiscono in modo soprattutto giuridico, rappresentano la teologia nella sfera giuridica e molta parte della loro identità dipende da questo. Ci sono dunque dei motivi strutturali che rendono difficile l'approccio vicendevole e che vanno riconosciuti. Riconosciute per fare cosa? Andare oltre, come sta facendo questa mostra”.La parola poi al prof. Pierfrancesco Fumagalli, dottore della Biblioteca Ambrosiana e consultore della Commissione della S. Sede per i Rapporti religiosi con l'Ebraismo:
“Il dialogo è un tema attuale sotto diversi punti di vista. I flussi migratori a cui oggi assistiamo sono dovuti a una globalizzazione anti-solidale, a cui il dialogo ci chiama a rispondere con la globalizzazione della solidarietà. L'esperimento del dialogo che sembra per altro ancora un po' elitario, è necessario ora più che mai. Occorre lanciare molto in là i nostri cuori”.
“Poi bisogna ricordarsi il peso degli anni che ci hanno preceduto. Atteggiamenti sbagliati, fondati a partire dal Concilio di Nicea che hanno condizionato millenni di relazioni, che oggettivamente pesano. La storia va conosciuta anche negli aspetti tragici per imparare a chiedere perdono. Il dialogo può progredire solo nella consapevolezza degli errori, con grande umiltà e il confronto continuo con se stessi e gli altri. Questo tipo di responsabilità può aprire l'orizzonte ad una fraternita condivisa, estesa verso tutti i popoli. Le nostre radici sono comuni, a partire da Adamo ed Eva, i progenitori, cui è stata affidata tutta la cura del Creato. L'invito, dunque, è di non rimanere isolati”.Per l'Imam Yahya Pallavicini, invece, “se non ci fossero state le iniziative di questi pontefici non ci sarebbe stata una mostra con cui poter dimostrare l'iniziativa della Chiesa cattolica nella promozione del dialogo interreligioso.
Dobbiamo riconoscere alla Chiesa cattolica un ruolo di promozione istituzionale nel cercare di dare segnali di convergenza.
Questi segnali, tra l'altro, sono molto cambiati nel tempo: se nel 1986 si parlava di “religioni assieme per la pace” (penso all'incontro di Assisi) oggi si parla addirittura di fraternità, come nella recente dichiarazione firmata da Papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar”.
“In Marocco, durante il viaggio di Giovanni Paolo II, era la prima volta che un pontefice assumeva una posizione simmetrica rispetto ad un suo interlocutore non cristiano. Parlo proprio dei dettagli del cerimoniale. Fu un grande passo: ponendosi, anche fisicamente, allo stesso livello del suo interlocutore, il Papa riconobbe e sottolineò la dignità comune, senza avvertire il bisogno di dover ostentare o esprimere con profonda convinzione che la propria identità che non è equiparabile ad altri. E sapete qual è la cosa più incredibile? Che questo messaggio era per i giovani. Il Papa pose fine all'esclusivismo e trasmise questo messaggio ai giovani. Si capì, finalmente che la superiorità della fede non deve per forza entrare in un discorso di protocollo cerimoniale; un messaggio estremamente educativo.Così, anche oggi dobbiamo scoprire un terreno comune di fratellanza profonda, non pacifistica, demagogica, sentimentale, all'acqua di rose”.[caption id="attachment_33496" align="alignleft" width="450"] Il prof. Paolo Branca.[/caption]
Da ultimo, il prof. Paolo Branca, islamologo, ha ricordato l'importanza del Concilio Vaticano II, come momento di vera svolta nella mentalità: “Vorrei solo ricordare un'immagine della mostra che destò subito molto scalpore: san Giovanni Paolo II che bacia una copia del Corano, donatogli da una delegazione irachena. Molti si sono indignati, quando invece si tratta di una forma di rispetto verso uno dei grandi codici dell'umanità. Merita rispetto perché su quello si è costruito una civiltà. Inoltre, vorrei esprimere il mio apprezzamento verso il Concilio Vaticano II; si trattò di una vera rivoluzione copernicana: una ridefinizione più autentica della propria dottrina, un andare fino in fondo all'insegnamento tradizionale, che ha portato a un capovolgimenti di atteggiamenti molto diffusi come l'indifferenza. Da quel momento il dialogo interreligioso ha potuto portare i suoi frutti”.
La mostra resterà negli spazi della Facoltà di Teologia di Lugano fino al 4 marzo.