di Federico Anzini
Una Chiesa più partecipata, dialogica e corresponsabile: questo è il futuro auspicato dal Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità, come ci dice in intervista il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i testi legislativi.
Il porporato è stato ospite a Lugano sabato scorso, 15 marzo, invitato dall’Associazione Amici di Eugenio Corecco, in occasione del trentesimo anniversario della scomparsa del compianto vescovo di Lugano. Un’occasione preziosa per riflettere sugli esiti del Sinodo svoltosi a Roma lo scorso ottobre e sull’attuale fase di attuazione che il Papa ha approvato l’11 marzo scorso, data in cui Bergoglio ha deciso un nuovo percorso triennale dopo l’assemblea di ottobre scorso. Per questa ragione il Segretario generale del Sinodo, cardinale Grech, ha scritto ai vescovi del mondo.
Da esperto di diritto della Chiesa il cardinale Coccopalmerio si concentra sulle sfide che meglio conosce. «Serve un cambiamento significativo», afferma, chiarendo subito la posta in gioco. Il codice di diritto canonico, rinnovato nel 1983 alla luce del Concilio Vaticano II, richiede oggi ulteriori aggiornamenti per accogliere le istanze emerse dal Sinodo. Tra queste, la diffusione dei consigli pastorali parrocchiali: «Oggi non sono obbligatori per ogni parrocchia, ma solo se il vescovo lo ritiene opportuno», osserva il cardinale. Una modifica semplice e radicale sarebbe renderli obbligatori ovunque.
Ma la questione più delicata riguarda il passaggio dal voto consultivo a quello deliberativo in questi consigli. Tema che chiama in causa la questione di una reale corresponsabilità. Un cambiamento che Coccopalmerio auspica fortemente, perché «non ha più senso parlare solo di voto consultivo». In pratica, oggi i fedeli suggeriscono, ma il parroco decide da solo. Con il voto deliberativo, invece, si deciderebbe insieme. Il cardinale fornisce un esempio concreto in materia di pastorale: «Pensiamo ad una parrocchia con tanti ragazzi “difficili”. Si discute insieme su cosa fare. Qualcuno propone di costruire un oratorio, altri invece di radunarli nella piazza per pregare. Nel sistema attuale, il parroco raccoglie i consigli, ma decide da solo. Con il voto deliberativo, invece, la decisione verrebbe presa collegialmente, assicurando così una maggiore corresponsabilità».
Di fatto la questione è stata affrontata durante il Sinodo, ma non risolta. «Il problema del voto deliberativo è stato dribblato», ci dice il cardinale con franchezza. Il documento finale è ampio, ma non sempre chiaro: «Sono stati fatti molti interventi e si è voluto tener conto di tutti, ma certe questioni cruciali sono rimaste aperte o sfumate». Tuttavia, la direzione è tracciata verso una sinodalità sempre più concreta e operativa. «Il dialogo è essenziale – sottolinea Coccopalmerio – ma deve essere autentico. Bisogna essere disposti a ridimensionare o abbandonare il proprio pensiero se si viene convinti da altri». E aggiunge con forza: «La realtà più importante emersa nel cammino sinodale è quella che viene chiamata la conversazione nello Spirito. Dobbiamo essere convinti che ciascuna persona che si presta in una struttura sinodale, quando parla, fa sentire in qualche modo la voce dello Spirito».
Questa visione, pur più faticosa e complessa, indica un percorso preciso per il futuro della Chiesa: una sinodalità che non si limiti ad ascoltare, ma che condivida le responsabilità e le decisioni, accompagnata dallo Spirito. La direzione da discernere dunque è quale cambiamento, non solo organizzativo, ma profondamente ecclesiale e spirituale, si vuole perseguire.
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