di Gino Driussi
Uno dei principali intenti del Concilio Vaticano II, voluto da papa Giovanni XXIII e conclusosi ormai 60 anni fa, l’8 dicembre 1965, fu quello di ristabilire l’unità tra i cristiani. E si può ben dire che quell’evento segna l’entrata ufficiale della Chiesa cattolica – in precedenza completamente contraria, basti citare l’enciclica di Pio XI “Mortalium animos” del 1928 - nel movimento ecumenico.
Espressamente dedicato all’ecumenismo è il decreto conciliare “Unitatis redintegratio” del 21 novembre 1964, nel quale si afferma che il battesimo pone i fedeli delle “comunità separate” in una comunione, per quanto imperfetta, con la Chiesa cattolica e permette che raggiungano la salvezza, nonostante gli impedimenti dovuti alle divergenze dottrinali. Il documento invita i fedeli cattolici a un atteggiamento di fraterno rispetto e di conoscenza delle altre confessioni cristiane, prendendo esempio da esse su quanto abbiano realizzato di positivo nell'ambito dei valori cristiani. Il testo sottolinea anche come la ricerca dell'unità dei cristiani sia compito di tutti i fedeli.
Un altro documento conciliare molto importante per l’ecumenismo è la costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium”, sempre del 21 novembre 1964, la quale afferma, nel capitolo 8, che “l’unica Chiesa di Cristo (…) sussiste nella Chiesa cattolica (…), ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, in quanto doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica”.
La levata delle scomuniche
Una delle prime conseguenze del Concilio e del nuovo atteggiamento della Chiesa di Roma nei confronti dell’ecumenismo è stata sicuramente la storica levata delle scomuniche reciproche del 1054 tra cattolici e ortodossi, firmata esattamente 60 anni fa, il 7 dicembre 1965, da papa Paolo VI e dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora.
Così, dal 1965 in avanti, l’impegno della Chiesa cattolica in campo ecumenico è proseguito senza sosta e prosegue tuttora. Un ecumenismo a 360 gradi, poiché essa è entrata in dialogo, a vari livelli, con quasi tutte le altre Chiese cristiane. Sono state costituite diverse commissioni teologiche, bilaterali o multilaterali, e non si contano i documenti pubblicati sul tema. Da ricordare anche la fattiva collaborazione instauratasi, a partire dal 1965, tra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese, l’organismo con sede a Ginevra che raggruppa più di 350 Chiese anglicane, ortodosse, protestanti e vetero-cattoliche del mondo intero.
Ancora molti ostacoli
Nonostante gli enormi passi avanti già compiuti, bisogna constatare come la strada verso la piena unità tra tutti i cristiani sia ancora lunga e irta di ostacoli, in particolare teologici, ecclesiologici e di natura morale, non tutti allo stesso livello se ci si riferisce, ad esempio, ai rapporti con le Chiese d’Oriente o con quelle nate dalla Riforma, senza dimenticare che le prassi ecumeniche sono spesso ancora lungi dall’essere entrate nel vissuto delle Chiese.
Oltre all’impossibilità di praticare l’ospitalità eucaristica, una delle pietre d’inciampo è costituita dal papato, tanto da far dire onestamente a Paolo VI, in un discorso del 28 aprile 1967 ai membri dell’allora Segretariato per l’unione dei Cristiani, che «il papa, noi lo sappiamo bene, è senza dubbio l’ostacolo più grande sul cammino dell’ecumenismo». A questo proposito, è di grande importanza l’enciclica “Ut unum sint” del 25 maggio 1995, nella quale Giovanni Paolo II invitava i responsabili delle altre Chiese cristiane a “trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova”.
In ogni caso, l’impegno ecumenico irreversibile della Chiesa cattolica è stato ribadito anche da papa Leone XIV nel discorso pronunciato al termine della divina liturgia in occasione della festa di S. Andrea, lo scorso 30 novembre nella chiesa patriarcale di S. Giorgio a Istanbul: “Da parte mia, desidero confermare che, in continuità con quanto insegnato dal Concilio Vaticano II e dai miei predecessori, perseguire la piena comunione tra tutti coloro che sono battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nel rispetto delle legittime differenze, è una delle priorità della Chiesa cattolica e in modo particolare del mio ministero di vescovo di Roma”.